Più che scrivere una recensione, l’intenzione è quella di commentare a caldo, essendo temporalmente molto vicina la visione dell’esordio di Michele Riondino da regista. Oltretutto, provenendo io stesso dal luogo che fa da cornice agli eventi narrati, una critica fredda e distaccata sarebbe lontana da me. Inoltre, zero anticipazioni moleste sulla trama ne spoiler chirurgici su aspetti chiave. Il film è dedicato alla memoria dello scrittore e giornalista Alessandro Leogrande, autore di “Fumo sulla città” (Fandango, 2013) da cui la pellicola è tratta. Leogrande è deceduto durante la lavorazione della stessa, della quale avrebbe dovuto firmare la sceneggiatura.
“Palazzina Laf” (2023) è a mio avviso una buona notizia per il cinema italiano. Il lavoro, questo sconosciuto nei dibattiti dell’Italia odierna, è il vero protagonista del lungometraggio. Ciò segna il ritorno di un cinema impegnato e socialmente rilavante. Come affermato dallo stesso autore, che ha apprezzato chiaramente gli accostamenti riportati a riguardo dalla stampa, la radice è senza dubbio quel filone politico italiano degli anni settanta che ha avuto come punte di diamante registi come Elio Petri e Francesco Rosi. Ma ad avere risalto in tal caso non è solo la classe operaia bensì anche quella impiegatizia. Come non pensare in tal senso a colui che nell’immaginario collettivo è stato l’archetipo dell’italiano medio, ovvero il Rag. Ugo Fantozzi. Perlomeno il Fantozzi messo in scena da Luciano Salce nei primi due capitoli della fortunata saga con Paolo Villaggio, la quale più che dalla semplice comicità era stata inaugurata da una fine e strutturata satira, altra illustre sconosciuta dei nostri tempi.
Gli ingredienti sono tanti, e tutti meritano menzione. C’è un regista che nella sua opera prima dirige se stesso rappresentando, con successo, un uomo alla ricerca dell’agognata svolta.
Quel Caterino Lamanna tanto macchietta nei modi quanto lucidamente realistico nella sua miseria morale, può essere chiunque di noi. C’è un cast che funziona, Elio Germano su tutti, nell’impersonare donne e uomini pedine in una vicenda grottesca e volutamente esasperata. Proprio come a teatro, dove l’esaltazione di un messaggio permette di raggiungere più facilmente il pubblico, la fiction che prende forma negli uffici della Palazzina Laf restituisce un quadro convincente sia di quei fatti realmente accaduti che di tante altre storie di mobbing. Ci sono una città, Taranto, e la sua gente vittime di quel capitalismo predatorio e familista all’italiana, riprese nella loro sofferenza e divorate in un quadro alienante dall’industria che su di esse incombe. C’è infine una colonna sonora viva e costante a firma del musicista Teho Teardo, di provenienza industrial/noise e già autore di diversi score per cinema e TV, consona al contesto del film e impreziosita dal singolo La Mia Terra (Carosello Records, 2023) del cantautore tarantino Diodato.
Buona la prima per Riondino dietro la macchina da presa. L’augurio è che oltre ad ed essere un ottimo inizio per lui, Palazzina Laf abbia gettato i semi di una nuova fase di consapevolezza per la settima arte nostrana, magari sensibilizzando chi è di fronte allo schermo. D’altronde, la cittadinanza di uno Stato comunità presuppone in primis la conoscenza di problemi e difetti di quest’ultimo. Discuterne e eventualmente ispirare la ricerca di soluzioni migliori, sarebbe già di per sé un ottimo raccolto.
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