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"La primavera della mia vita" (2023) di Zavvo Nicolosi

Aggiornamento: 27 ott

Credo sinceramente che un’opera cinematografica surreale goda di una forza superiore rispetto ad una votata all'esasperato iperrealismo. In tal senso, uno storytelling o una messa in scena che si discosta dalla rappresentazione fedele del reale consente all’autore di veicolare con maggiore libertà il messaggio destinato al pubblico, il quale potrà avere una o più percezioni dello stesso messaggio. Tale approccio affonda le sue radici in una breve esperienza teatrale ormai lontana nel tempo, della quale mi è rimasta impressa la necessità di raggiungere gli spettatori più distanti dal palco attraverso una costante e graduale esagerazione e amplificazione nel recitare un dialogo o un monologo. Di conseguenza, la recitazione che esalta un determinato contenuto alla sua massima espressione attirerà e manterrà viva l’attenzione di chi osserva e ascolta, e suscitando vivide emozioni spingerà alla catarsi.

Il film "La primavera della mia vita” (2023), diretto da Zavvo Nicolosi e interpretato dai componenti del duo cantautoriale Colapesce Dimartino (Lorenzo Urciullo e Antonio Dimartino), mi ha riportato a quanto detto poc’anzi. Si tratta di un lungometraggio, il primo di Nicolosi che già aveva diretto i due artisti nei videoclip di Musica Leggerissima (42 Records, 2021) e Splash (Sony, 2023) insieme a Giovanni Tomaselli, sin da subito traboccante di passione per il cinema attraverso omaggi e riferimenti tanto a livello stilistico quanto nella scelta delle musiche. La struttura è di quelle che rimandano alla stagione d’oro, gli anni settanta e ottanta, di due generi che incrociandosi hanno spesso segnato la storia della settima arte, ovvero il buddy film (storie di amicizia tra due uomini molto diversi) e il road movie (caratterizzato dallo sviluppo narrativo articolato nel corso di un viaggio su veicolo). Infatti è proprio un itinerario che tocca varie località siciliane, a bordo di una station wagon d’epoca chiamata Lazzaro e sulle tracce di miti e leggende isolani per scrivere un libro a tema su commissione, a far da cornice al rapporto trai due protagonisti.

Il regista predilige un taglio orientato al grottesco, virando spesso verso un’ironia bilanciata da buone dosi di malinconia. Contemplando i paesaggi aridi e maestosi di una Sicilia popolata da personaggi strambi e allucinati, tornano alla mente sia i frame di capolavori di cineasti quali Wim Wenders, Jim Jarmush e Wes Anderson che la tradizione dello Spaghetti Western. La colonna sonora omonima (Cam Sugar, 2023), curata anch’essa da Colapesce e Dimartino, alterna brani cantati a parti strumentali ispirate alle soundtrack di icone come Franco Micalizzi, Ennio Morricone, Riz Ortolani, Fabio Frizzi e Piero Umiliani. Oltre che dell’ottima presenza scenica degli interpreti principali Dimartino e Urciullo, il film gode di un cast corale costellato di grandi nomi tra cui Roberto Vecchioni, Stefania Rocca, Isabel Russinova e Corrado Fortuna, ai quali si affiancano i beniamini della scena musicale italiana contemporanea Brunori Sas, Erlend Øye & La Comitiva, Madame e Adele Altro.


Pur essendo già di per sé una pellicola di pregevole fattura, interessante ed efficace, si gode tout court della visione de “La primavera della mia vita” tuffandosi nell’universo musicale di Colapesce Dimartino. Senza dubbio, i temi trattati e l’estetica delle immagini (tanto mostrate quanto evocate) sono strettamente legati ai testi dei due cantautori, in particolare del brano Splash ma in generale dell’album “Lux Eterna Beach” (Sony, 2023). Riallacciandomi così alle considerazioni personali iniziali, gli argomenti e i messaggi che risaltano lungo la carrellata di peripezie, siparietti comici e momenti di riflessione profonda sono molteplici. Attraverso il filtro della fiction cinematografica surreale e volutamente vintage, l’amicizia e il viaggio portano a galla il desiderio di cogliere il nuovo e rinascere all’interno di una vita contemporanea fatta di abitudini tossiche, frustrazioni e l’incombente “peso delle aspettative” (cit.). Laddove l’asfissiante ricerca della perfezione cozza con una realtà imperfetta suona liberatoria la bellezza del difetto, incarnata anche dall’amore atavico per la terra d’origine antica e meravigliosa ma al contempo ricca di contraddizioni e di piccoli e grandi mostri.



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