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"It Follows" (2015) di David Robert Mitchell

La semplicità è direttamente proporzionale all’efficacia. Probabilmente è un luogo comune come tanti altri, ma spesso ci si azzecca come nel caso di “It Follows”. Nel 2015 il regista statunitense David Robert Mitchell, al suo secondo lungometraggio, realizza un’opera decisamente al di sopra della media rispetto a molti horror coevi.



Lo sfondo della vicenda è il sobborgo di una città degli Stati Uniti improvvisamente scosso da un fatto scioccante, che si manifesta immediatamente agli occhi dello spettatore. Protagonisti sono la giovane Jay (interpretata da Maika Monroe) e il suo gruppo di amici, catapultati in una serie di eventi assurdi. In seguito ad un rapporto sessuale occasionale, Jay cade vittima di un vortice di visioni inquietanti (anche per chi si trova davanti allo schermo), iniziando a vivere la costante sensazione di essere inseguita. Una trama semplice, appunto, che regala sin dai primi fotogrammi tutto ciò che un film del terrore dovrebbe da manuale: curiosità all’inizio, brivido durante e angoscia dopo.

Mitchell dirige in modo asciutto la pellicola, lasciando poche parole al cast e tanto spazio ai silenzi e al sottofondo musicale minimale e synth di Disasterpeace. Il film cammina sul filo del rasoio che traccia il confine tra cinema di genere e cinema d’autore. Se da un lato infatti ci si copre gli occhi sgomenti, dall’altro è un piacere per il nervo ottico guardare i piani sequenza e le riprese grandangolari. Senza dubbio dietro la macchina da presa c’è savoire faire, ma anche l’idea alla base risulta interessante e adeguatamente sviluppata lungo tutto l’arco narrativo.



It Follows” gode tanto di concretezza cinematografica, nella quale conta sì la sostanza, quanto di uno stile dove la forma non è di certo relegata a comprimaria. D’altronde le ispirazioni sono palesi e si possono scorgere diversi omaggi a John Carpenter, David Lynch, Gus Van Sant e David Cronenberg, ma si procede fino alla chiusura con ritmi ben calibrati e senza perdersi in inutili orpelli. Si tratta in ultima analisi di un’opera meritevole di esser ricordata trai migliori horror degli anni 2010, sia per le sue immagini e il suo significato ma anche e soprattutto per la forte personalità che l’autore ha saputo donarle.




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