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Hungry Wolf - "Hungry Wolf" (1970)

Aggiornamento: 15 dic 2023

Hungry Wolf” (Philips, 1970), semplicemente, è il titolo del primo ed unico album della band britannica Hungry Wolf. Il gruppo era composto da Alan Hawkshaw (tastiere), Alan Parker (chitarra), Clem Cattini (batteria), Peter Lee Stirling (voce) e Herbie Flowers (basso). A completare, la sezione fiati con John Edwards, Tony Fisher, Ken Gouldie, Cliff Hardy, Bobby Haughey e Derek Watkins. I musicisti avevano già una certa fama ed esperienza. Stirling aveva avuto alcuni successi minori con Daniel Boone. Parker aveva lavorato con Blue Mink, David Bowie, CCS, Elton John e Gerry Rafferty, tra gli altri. Mentre il tastierista Hawkshaw con Cliff Richard, Shadows, Madeline Bell, Donovan e Family Dogg.



Il risultato del loro lavoro è notevole. Si tratta di un jazz-rock che strizza l’occhio al funky e al prog, suonato dunque come il funk/jazz di marca Chicago o Blood Sweat And Tears. Melanie apre le danze dichiarando immediatamente gli intenti. Progressive solare intervallato da elementi sinfonici e fusion. Watching And Waiting è pervasa da moto oscillatorio che balza dolcemente tra ambient e world music, per poi approdare verso lidi che profumano di Soft Machine. Custard's Last Stand è un numero funky, quasi pop per l’epoca, con il tema principale scandito da organo, chitarra e un basso pastoso come nella migliore library. Country Wild ha di nuovo molto del sound Chicago, ma pregno di quell’irrequietezza propria delle colonne sonore dei coevi film thriller e polizieschi. Risuonano infatti echi di Ennio Morricone, Gianni Ferrio e Luis Enriquez Bacalov, con spostamenti tellurici che vanno dal jazz-rock a motivi pastorali, reminiscenze latineggianti e una pausa psichedelica. Waiting For The Morning Sun è la prima canzone con una breve parte vocale. Naturalmente, ciò la rende più orecchiabile pur muovendosi stilisticamente nel territorio ancora debitore della primordiale macchina molle.



Like Now è un tuffo in quel soul/funk di matrice statunitense, ma che nell’Albione di quel periodo ha l’indubbia radice nelle opere dei Traffic dell’enfant prodige Steve Winwood. Hole In My Shoe gode di un arrangiamento da big band, che trascina l’ascoltatore verso la sognante Sleepy. In questo brano rivive la magnificenza di Booker T. And The MGs. Verso la chiusura il groove di The Drifter trasmette la goduria R&B propria della matrice Stax, mentre la conclusiva Revolution è un altro numero vocale di pregevole fattura.


In definitiva, il disco rientra di diritto tra le perle nascoste dell’era a cavallo tra i sessanta e i settanta. Nulla di imprescindibile, ma senza dubbio consigliato a chiunque voglia immergersi nella dimensione sonora di quel periodo caratterizzato da fantasia e anticonformismo, durante il quale era facile imbattersi in gruppi dediti a interessanti sperimentazioni strumentali.



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