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Blue Cheer - “Vincebus Eruptum” (1968)

Il 1968 è senza ombra di dubbio l’anno che ha maggiormente contribuito ad alimentare il bagaglio musicale poi confluito nell’etichetta più abusata in ambito rock, ovvero l’hard rock. Periodo “caldo” sotto vari punti di vista, fa segnare le temperature sonore più torride proprie della psichedelia e del blues, generi che andavano per la maggiore nel mondo anglosassone. Se Jimi Hendrix Experience, Vanilla Fudge e Cream sono già nel loro splendore, si assiste nel corso di quest’anno alle distorsioni sperimentali da parte dei Beatles con Helter Skelter su “The White Album” e agli esordi di Steppenwolf (album omonimo “Steppenwolf”) e Iron Butterfly (“Heavy” e “In-A-Gad- da- Da- Vida”). A irrompere su questa scena è un trio di San Francisco chiamato Blue Cheer, che pur muovendosi nei territori dalla Bay dedita alla Summer of Love anticipa le sonorità che saranno prerogativa dell’heavy metal, dello stoner e se vogliamo guardare lontano anche del grunge.


La line-up composta da Dickie Peterson (voce e basso), Leigh Stephens (chitarra) e Paul Wha- ley (batteria), nasce nel 1966 e dà alle stampe nel 1968 il primo album destinato a far parlare molto di sé. “Vincebus Eruptum” parte con una cover di Eddie Cochran, ovvero quella Summertime Blues datata 1958. Un inizio al fulmicotone, che rivela subito l’attitudine del gruppo a premere l’acceleratore sulla potenza e su di una certa approssimazione, la quale però si configura come marchio di fabbrica. Poca grazia e molto vigore, tanto basta per bruciare i padiglioni e fare gridare all’hard rock. Si può assistere in forma grezza a ciò che parziamente era stato messo già in atto dal Jeff Beck Group, e che di li a poco verrà estremizzato dagli MC5 e canonizzato dai Led Zeppelin. Il blues sporco e acido fa capolino nella cover successiva, questa volta il tradtional, di Rock Me Baby. La traccia inizia in sordina creando un’atmosfera soffusa, ma ben presto si evolve selvaggiamente nella giungla composta dai fendenti dissonanti presenti nell’assolo di chitarra e dalle urla di Peterson. Si può scorgere familiarità con You Shook Me dei Led Zeppelin e I Woke Up This Morning dei Ten Years After, che usciranno entrambe l’anno successivo. I toni si fanno dunque più cupi con la lunga Doctor Please, dove l’alternanza tra ritmo lento ed evoluzioni più veloci condite dagli efficaci assoli fa subito balzare alla mente le derive stoner e doom, poi approfondite e perfezionate dai Black Sabbath su “Master of Reality” (1971). Archiviato il lato A, si passa al lato B con Out Of Focus. Si tratta un hard blues in stile hendrixiano, probabilmente il brano più equilibrato della tracklist. Segue Parchment Farm, originariamente a firma del pianista jazz Mose Allison. La matrice jazz si percepisce soprattutto nell’intramezzo swing che precede l’esplosione della seconda metà del brano, caratterizzato dal leggero accompagnamento di batteria in contrasto con le note poderose del basso. Il sigillo su questa prima opera di Peterson & Co. prende il nome di Second Time Around, dove gran protagonista è Whaley con il suo incedere ed il primordiale ma incisivo assolo. Non da meno però la chitarra abrasiva, tanto da anticipare in nuce certi suoni grunge e noise, che con le sue acrobazie conduce verso il congedo.


Vincebus Eruptum” è un disco tutt’altro che perfetto. Come già anticipato, la sensazione è quella di essere di fronte alla volontà di improvvisare per osare e impressionare. Considerato il periodo di riferimento, tale approccio è pienamente comprensibile nell’ottica di voler creare una cesura con il passato (rock’n’roll) e il presente (psichedelia) nel tentativo di andare oltre e guardare avanti. Da questo atteggiamento, quasi punk ante litteram, si può intuire l’importanza storica dei poco più di trenta minuti contenuti in questi microsolchi, probabilmente invecchiati male ma con uno stile che ha ispirato band di ben più grande successo. L’Allegria Blu, nome preso in prestito da una varietà di LSD, pubblicherà nell’estate dello stesso anno il secondo Lp “Outsideinside” dal sound più pulito, e con l’aggiunta del tastierista Ralph Burns Kellogg. La formazione cambierà già nel 1969 con l’uscita di Leigh Stephens, che lo stesso anno farà uscire il suo album solista “Red Weather”, e l’ingresso di Bruce Stephens con contestuale stampa dei dischi “New! Im- proved!” e “Blue Cheer”. Il periodo classico della band, che durerà fino al 1972, vedrà la pubblicazione di “The Original Human Being” (1970) e “Oh! Pleasant Hope” (1971). Seguiranno due reunion, con relativi album in studio e attività concertistica. La prima dal 1983 al 1993 con Peter- son e Whaley accompagnati dai chitarristi Tony Rainier, Duck MacDonald e Dieter Saller, rispettivamente sui dischi “The Beast is back” (1984), “Highlights e Lowlives” (1990) e “Dining with the sharks” (1991). La seconda inizierà nel 1999 per poi terminare nel 2009 con la morte di Dickie Peterson, periodo durante il quale daranno alle stampe “What doesn’t kill you...”(2007).





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